W.A.Mozart e i suoi contemporanei
Ottava Puntata.
Osservare, anche se ad una distanza non molto ravvicinata, come nel nostro caso, l’arte musicale di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), significa riassumere il cammino della musica del XVIII sec.
Mozart, infatti, è stato un’inesauribile assimilatore di tutte le mode, gli stili del far musica del suo secolo, dai compositori più celebri fino a quelli più sconosciuti. Ogni genere di musica viene da lui trasfigurata in una nuova forma che ne rappresenta la sintesi. Questo avviene anche per l’opera. Mozart vive perfettamente inserito nel mondo musicale che già da giovanissimo inizia a frequentare, quando dalla nativa Salisburgo inizia a viaggiare con il padre per tutta Europa. I suoi primi lavori lo dimostrano: ne “La finta semplice” (1768) composta a dodici anni , e ne “La finta giardiniera” (1775) mostra di conoscere alla perfezione i meccanismi dell’opera buffa e semiseria della tradizione napoletana. Altrettanto si può dire dell’opera seria, basta ascoltare il “Mithridate re di Ponto” (1770), il “Lucio Silla” (1772) o “Il re pastore” (1775), o “Idomeneo re di Creta” (1780) nella quale sono perfettamente ravvisabili echi dell’opera gluckiana.
Quando Mozart si trova ad affrontare il genere tedesco del Singspiel ne risolleva le sorti, cambiandone completamente i tratti. Da una sorta di sottogenere teatrale quale era, egli ne fa uno spettacolo nobile, dando così il definitivo impulso allo sviluppo di un’opera nazionale tedesca. Nel “Die Entfuhrung aus dem Serail” (“Il ratto dal serraglio”, 1782) e in “Die Zauberflöte” (“Il flauto magico”, 1791) Mozart inserisce il canto virtuosistico dell’opera seria, e lo affida ai personaggi di Costanza e della Regina della notte. Non è però un virtuosismo fine a se stesso, ma strettamente congiunto al carattere delle due protagoniste. Le acrobazie vocali di Costanza sono in un certo senso la barriera che ella interpone a difesa del proprio onore e della propria fedeltà al suo unico amore, mentre gli adamantini picchiettati della Regina della notte ne accentuano la fisionomia di donna gelida, notturna, lunare. Accanto a questi caratteri, Mozart ne accosta altri dai tratti più disparati: comici (Osmin e Papageno), lirici (Belmonte, Pamina, Tamino) e così via. L’incontro di Mozart con il librettista Lorenzo Da Ponte porta alla creazione di quella trilogia italiana composta da “Le nozze di Figaro” (1786), “Don Giovanni” (1787), “Così fan tutte” (1790), considerata tra i massimi capolavori della storia della lirica. Qual’è la grandezza di queste opere? Difficile dirlo in poche righe. A proposito di queste tre partiture si sono sparsi fiumi d’inchiostro per cercare di interpretare quello che si nasconde dietro la loro apparente semplicità. Ad un primo impatto, tutto sembra procedere secondo le più rispettose regole del tempo, ma, ad un più attento esame, questi schemi vengono superati, trascesi dalla necessità di far procedere il dramma, esigenza alla quale Mozart non rinunciava mai.
Non va poi sottaciuto il fascino ambiguo che sprigionano questi lavori. Sono considerate opere buffe o, come il “Don Giovanni” dramma giocoso, ma il comico o il giocoso sono solo un’esile velo dietro al quale si cela il dramma che ne “Le nozze di Figaro” si esprime nei contrasti di classe, o in “Così fan tutte” nel cinico gioco tra personaggi. Nel “Don Giovanni” poi, il dramma è tangibile, lo si avverte fin dalle prime note e, in quel continuo scontro tra moralità e amoralità, si fa incalzante costituendo uno degli aspetti più affascinanti di quest’opera. C’è poi un altro dramma, quello che Mozart nasconde nel carattere dei suoi personaggi e che scaturisce dal mistero esistenziale del rapporto dell’uomo con se stesso. Basta guardare al Cherubino de “Le nozze di Figaro”, al personaggio di don Giovanni, al Sarastro de “Il flauto magico” che sicuramente sono i caratteri più emblematici del teatro mozartiano. Se il compositore salisburghese sembra aver concentrato su di sé gli interessi musicali di questo ultimo scorcio di secolo, non vanno dimenticati altri pregevoli compositori.
Primo tra tutti quell’Antonio Salieri (1750-1825) noto quasi solo per essere stato ingiustamente accusato di aver ucciso Mozart. Eppure Salieri è un autore di lavori teatrali che meriterebbero un’adeguata rivalutazione, in particolare “Les Danaides” (1784) che, senza alcun dubbio, sono il suo capolavoro. In quest’opera traspare una chiara influenza gluckiana tradotta dall’autore in un proprio impeto ed in una sinteticità di mezzi espressivi straordinari.
Nel segno di Gluck si inseriscono anche l'”Oedipe à Colone” (1735), capolavori del musicista fiorentino Antonio Sacchini (1730- 1786) e l'”Armida” (1784), di Franz Joseph Haydn (1732 -1809) nella quale si mescolano arie di tipologia ancora barocca, in forma cioè tripartita, usate in modo piuttosto libero dall’autore, e una concezione teatrale ormai aperta a nuove vie espressive, che vede un cospicuo dispiego di duetti, terzetti e pezzi d’assieme. Quasi certamente il nome di Haydn è ben più noto per la sua produzione sinfonica e concertistica, ma le sue opere liriche sono sicuramente degne di nota. In esse si apprezza una felice mescolanza di elementi comici e seri, che Haydn usa con grande libertà, e che, come abbiamo visto, Mozart porterà alla perfezione. A partire da “Lo speziale” (1768), per passare attraverso “Il mondo della luna” (1777) e “L’isola disabitata” (1779) per arrivare all'”Orfeo, ovvero l’anima del filosofo” (1791), Haydn si mostra sempre attento ad assegnare ad ogni opera il giusto colore teatrale, mediante una solida struttura nella quale hanno una notevole importanza le scene d’assieme, i concertati. I personaggi inoltre sono sempre ben delineati anche grazie ad un ricco impiego del recitativo con accompagnamento invece del consueto clavicembalo.
Alla prossima…